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Esplorare i modi di formazione di moods di crisi e capire come diradarli non è un vezzo futile. La miseria del mondo va rimessa al centro del progettare, ma per farlo efficacemente occorre capire come e dove intervenire, nella confusione di stati d'animo che minano la resilienza dei cittadini, o ne sviano le reazioni verso strade che definiamo 'irrazionali'. La rassegnazione dei non più giovani ormai precari a vita, l'inerzia di adolescenti privi di mete, la radicalizzazione di migranti e periferie, la tracimazione di odio senza vergogna, l'impotenza di sentirsi ingabbiati in una ragnatela di corruttele quotidiane sono stati d'animo accomunati dalla perdita inconsapevole del controllo sul timone della nostra vita. Le teorie per spiegare il formarsi dell'azione - o dell'inerzia o del drammatico 'ribellarsi senza causa' - di una persona non possono che fallire se costruite su due premesse per nulla scontate. La prima è che l'azione sia coerente con una logica basata sulla sola razionalità economica. La seconda è che sia l'esito di schemi rigorosamente cognitivi, con cui la mente elabora input rigorosamente cognitivi, in un mondo in cui la dimensione sensoriale e affettiva sia solo un rumore di fondo marginale. La rigidità di queste due premesse impedisce di cogliere il ruolo centrale degli stati d'animo nel deformare la capacità di reazione e il tipo di risposta di una persona che vive esperienze quotidiane ad alta criticità. A una rassegna di alcuni approcci 'standard' è dedicata la prima parte di questo saggio. All'esplorazione su come si innescano e come si fronteggiano 'stati d'animo di crisi' è rivolta la seconda parte. Al ruolo che i paesaggi sensoriali delle nostre vite quotidiane possono giocare per ripristinare speranza e resilienza, la terza parte.